Dopo l’esperienza al MAC Fest in quel di Cava dei Tirreni, Elisa Montone giovane artista di Castellabate, ritornerà nel territorio natio a raccontare attraverso la sua performance, il suo percorso artistico, in occasione del Festival dell’associazione culturale Spaziale che si terrà in Villa Matarazzo, il 27-28 Agosto, proprio in quel di Santa Maria di Castellabate. Festival che racchiude una due giorni che raccoglierà ogni forma di espressione culturale: musica, presentazione di libri e un live painting dove tra vari artisti sarà presente Elisa.
A tal proposito le proponiamo qualche domanda.
Elisa nei tuoi ritratti, nei tuoi paesaggi, ritroviamo una chiave di lettura introspettiva che proietta lo spettatore ad un’osservazione più intima e che abbia bisogno dei suoi tempi. Nella dinamicità del “live painting” dove l’opera prenderà vita di fronte allo spettatore stesso: cosa pensi possa esprimere a chi assisterà alla performance?
In effetti non avevo pensato alla questione della dinamicità e pensandoci credo che la differenza stia proprio nel fatto che l’attenzione si sposti sul processo e non sul risultato. Quando viene osservato qualcosa di finito c’è silenzio; nel senso che ognuno cerca la propria emozione dall’interno tramite l’apposizione di unici filtri, con la costruzione in diretta tutto si sposta all’esterno, assume valore il gesto di realizzazione: l’osservatore diventa pure un poco attore di quello che sta succedendo perché in qualche modo è inglobato nel momento.
Il live painting diventa occasione quindi, per ritornare a vivere di arte, ristabilendo un incontro tra l’artista e lo spettatore: credi che il periodo pandemico possa aver cambiato la percezione in maniera significativa sia di chi ne sia creatore che di chi ne fruisca?
Si, il live painting credo sia proprio la boccata d’aria opportuna dopo le chiusure da pandemia, proprio perché unisce la creazione all’osservazione diventando una forma di partecipazione. Per quello che mi riguarda, tuttavia, il periodo pandemico è stato molto produttivo, non si direbbe, anche stimolante perché penso che un po’chiunque si sia concentrato su ciò che di bello abbiamo e facciamo. Quindi, benché sia cambiata la percezione e la fruizione dell’arte, per certi versi e per un po’ di tempo, era anche migliorata. Aggiungo che con le aperture mi sembra che le persone si siano di nuovo allontanate dall’interiorità.
Il lockdown ha intensificato la tua produzione artistica come mi stessi dicendo; oltre che nella mole di lavoro in sé, questo periodo così complesso abbia potuto incidere anche nel tuo approccio all’arte: sia in termini di realizzazione che in termini di contenuti delle tue opere?
Sicuramente il lockdown ha influenzato quello che ho prodotto, già solo per il fatto che mi viene più facile esprimere quello che sento quando sono angosciata piuttosto che quando sono serena. Poi certo avevo molto più tempo a disposizione e come me anche gli altri così da accorgersi maggiormente di ciò che tiravo fuori. È stata anche una scoperta quella di espormi sui social, sicché fino a prima della pandemia non era un mio modo di fare. Ho cercato ad ogni modo di provare a dire agli altri chi ero e cosa facevo e sto cercando di continuare a farlo.
La vetrina social ti ha dato visibilità e diminuito le distanze con chi ti abbia seguito, dando una maggiore interazione: nell’utilizzo che hai intensificato per raccontare il tuo percorso artistico, possibile riscontrare effetti collaterali in questa esposizione virtuale?
La vetrina social a me è servita e mi ha aiutato a credere in quello che faccio ma resto sempre dell’idea che l’arte, in qualsiasi forma, sia qualcosa che va vissuta da vicino. Nello specifico avere la concezione concreta del colore, della tecnica e della dimensione è sicuramente un modo più diretto di acquisire e sentire delle sensazioni tramite l’osservazione. L’effetto collaterale penso sia sicuramente una sorta di appiattimento e una specie di omologazione visiva. Tuttavia non sono proprio contro l’utilità che hanno i social nel rendere tutto più accessibile senza troppo sforzo e di raggiungere, comunque vada, un numero più vasto di persone.