C’è un pallone che rotola su un campetto a Caserta: il pallone non fa distinzione di sesso, razza, religione e classe sociale. Rotola.
Il pallone di cuoio nuovo di zecca o quello usurato dal tempo, così come l’iconico Super Santos, qualsiasi esso sia, rotola; a volte si ferma nelle pozzanghere di fango, o finisce tra gli alberi per poi essere recuperato: di norma, finisce in rete, da una porta all’altra.
C’è un pallone e c’è una bambina, che condivide questa passione insieme ad altri bambini; tra un tiro e l’altro ramifica i sogni dell’infanzia tra un’esultanza e un abbraccio. L’aggregazione crea una comunità eguale: questo “miracolo sociale” avviene con facilità tra i bambini, perché non hanno pregiudizi.
Il nome di quella bambina è Aurora Leone: ora lei recita, è un’artista conosciuta che lavora con i The Jackal, il celebre gruppo di Creator su YouTube.
Con il suo collega Ciro Priello, Aurora viaggia da Napoli verso Torino per la Partita del Cuore di questo 25 maggio: partita di beneficenza prevista allo Stadium di Torino tra Nazionale Cantanti e la squadra dei Campioni, il cui ricavato sarà devoluto all’istituto di Candiolo – Fondazione Piemontese per la ricerca sul Cancro.
Ciro e Aurora sono seduti al tavolo dei cantanti durante la cena ufficiale della vigilia, la sera del 24 Maggio, quando viene chiesto loro di alzarsi; pardon viene chiesto ad Aurora: il direttore della Nazionale Cantanti, Gianluca Pecchini, invita la Leone ad allontanarsi in quanto donna.
Alla richiesta di spiegazione di Ciro e di Aurora, sembra che secondo Pecchini queste fossero le regole, dopo che la stessa Aurora avesse tenuto a precisare di essere tra i convocati, con tanto di completino per giocare. A tal punto Pecchini chiosa che il completino può essere indossato in tribuna: “tanto, da quando in qua le donne giocano a calcio?”
Non è la sceneggiatura di una gag dei The Jackal, in cui esce il Dr.Fabio (alias Fabio Balsamo) con una sua caustica diagnosi sull’accaduto: è la realtà di un oscurantismo che credevamo fosse lontano da noi.
Aurora voleva solo rincorrere il pallone come faceva entusiasta sul campetto in quel di Caserta: condividere quella gioia così genuina con altri artisti dello spettacolo e della musica. Il pallone però inizia a rallentare la sua velocità: non c’è un semplice malinteso in quelle parole. Perché i significanti veicolano altro: una distanza, una separazione dovuta da retaggi che diventano tossici. Quel sessismo, quella misoginia che nel 2021 sono insostenibili.
Il pallone non rotola più sul campo veloce, come quando giocava Carolina Morace, molto più che una semplice atleta: la calciatrice più rappresentativa per il mondo calcistico, capace di essere un totem per le generazioni future. Non rotola come quando la nostra Nazionale femminile ha raggiunto i quarti di finale nel 2019 ai Mondiali di Francia: orgoglio tricolore nel vedere le azzurre dare tutto in campo, riuscendo a rappresentare l’intero movimento sportivo e non. Proprio quando la compagine maschile subiva l’onta di non partecipare all’ultima edizione del Mondiale 2018 in Russia.
Quella sfera che ha fatto innamorare generazioni e generazioni rallenta sempre di più: perché quando si esclude e discrimina, allora lo sport non ha più senso di essere, perde di significato e si trasforma in esercizio senza alcuno slancio. Perché affermare, ancora, che le donne non facciano parte del mondo del Calcio, significa asserire il falso, omettere la realtà. Svilire un intero movimento che si sta sempre più allargando e mettendo radici.
Attenzione, questa è una battaglia di tutti e per tutti: culturale. Ad esempio, quando si parla di calciatrici, alcuni (ancora troppi) si impegnano a descrivere il loro outfit fuori dal campo, sentenziando se siano esteticamente gradevoli o meno, come se fosse scontato renderle figurine stereotipate fino all’estremo. No! Sono donne, sono professioniste, sono atlete. Il rispetto è alla base dello sport, alla base della società.
Aurora dovrà rincorrere un pallone, che dovrà continuare a rotolare. Dovrà nascere una futura Aurora che possa sognare di essere una calciatrice, qualunque sia il suo futuro. E se fosse un futuro fuori dal rettangolo di gioco, in panchina o tribuna, sarà determinato da una scelta tecnica, solo per scelta tecnica. Affinché ciò avvenga dobbiamo alzarci dal tavolo come Ciro: non è una causa di sole donne. È la causa di tutti noi. Per il Calcio, per lo Sport, per una società che sia degna di essere tale.
Gian Luca Sapere