Un tessuto sociale dilaniato dalla crisi è estremamente permeabile alle strumentalizzazioni. Diventa terreno fertile per quelle forze che attentano alla coesione sociale del Paese. La rete solidale del primo lockdown ha lasciato spazio a una disgregazione dell’insieme, a una parcellizzazione della vita pubblica, divisa per categorie, corporazioni, mestieri, limiti geografici e soglie anagrafiche. Sono sorti così gli egoismi, gli interessi particolari, un frazionamento delle esigenze: tutti elementi in grado di azzerare la lotta comune. Nell’Italia logorata da un anno estenuante di emergenza sanitaria e chiusure imposte, la tensione sociale è ai massimi livelli. I ristori tardivi e insufficienti, le iniquità sociali e territoriali, l’incubo delle zone rosse, la sfiducia montante nei confronti delle istituzioni, i ritardi della campagna vaccinale, hanno alimentato un sentimento di abbandono e fragilità. Che, in molti casi, è sfociato nel dissenso assoluto, preludio di forme di disobbedienza. Talvolta tollerate da governanti e forza pubblica per limitarne la portata.
La piccola imprenditorialità diffusa, con la sua vasta schiera di Pmi, Partite Iva, aziende a conduzione familiare, attività di ristorazione, esercenti, ha risentito della crisi pandemica a tal punto da percepirsi in un vicolo cieco permanente. Quel ceto medio che puntava all’alto, poi sconquassato dalla crisi, impoverito e privato di rilevanza sociale, soffre una condizione che va ben oltre i motivi di carattere economico.
Una situazione incandescente in mezzo allo sfascio di una politica degradata dall’opera demolitrice di partiti che abdicano costantemente alla propria identità e al proprio ruolo e che si adagiano semplicemente sul corso liquido della storia. In questo scenario il ruolo di Salvini si è scisso: da un lato la recita di governo accanto a Draghi e ai nemici-alleati, dall’altro cauto ma sempre prolifico predicatore populista, sempre dedito a cavalcare rabbie, paure, frustrazioni, a contrapporre un concetto molto strumentale di libertà allo spauracchio sbandierato della “tirannia sanitaria”. Come magistralmente definito da Ezio Mauro su ‘La Repubblica’, per il salvinismo modellato dalla crisi pandemica, libertà significa smarcarsi dal rispetto di ogni regola, dal legame naturale con la società, e dunque da ogni vincolo nei confronti altrui. Dopo aver contribuito a spezzare un senso di solidarietà in parte della società italiana ancora ignara del pericolo sanitario, il sovranismo nostrano accarezza tentazioni negazioniste, si pone come riferimento culturale, offre una sponda inquinata di demagogia e infestata dal germe anti-elitario. Il meccanismo in atto rispecchia la natura stessa della sua narrazione: anteporre ai dati, alle verifiche, all’inconfutabile realtà, una propaganda battente che solletica gli istinti.
Dai focolai del virus ai focolai di protesta, tuttavia, il passo è breve. L’esasperazione può tramutare in scoppi di violenza se non retta da argini istituzionali e da una corretta postura del mondo politico. La situazione preoccupa il Governo e gli apparati di prevenzione non a caso, la tensione sociale cresce in maniera progressiva e il rischio della radicalizzazione delle proteste di commercianti, ristoratori, gestori di palestre e locali, è concreto. I disordini degli ultimi giorni a Roma costituiscono una prova e insieme un campanello d’allarme, giustificando le allerte. Dietro, in mezzo e sicuramente davanti ai manifestanti di “Io Apro” scesi in piazza, si confondeva una galassia di professionisti della sovversione: estremisti di destra, gruppi ultras, no mask, esponenti di Italexit con, al completo, l’armamentario propagandistico del nazional-sovranismo, condito dallo sloganismo incendiario che grida alla “dittatura sanitaria”. Pur non essendoci una regia unitaria dietro i disordini e gli “ultrà delle riaperture” (questi ultimi fautori di una visione comunque negazionista in relazione all’emergenza sanitaria), vi è sempre un movimento contaminato da distorsioni cognitive, fake news e istinti verso il basso, il cui obiettivo, per trovare ragione d’esistere e diffondersi nella società, è speculare sul malcontento sociale.
Dall’altra parte del parlamento, Fratelli d’Italia siede tra i banchi dell’opposizione, presidiando un campo politico-ideologico che attende che si consumi la legislatura insieme all’ulteriore distacco tra politica e cittadini. Non sono i sondaggi ma un certo sentimento sempre più diffuso a decretarne la possibilità. Attendere è una strategia infallibile, e l’avvoltoio ne è consapevole. Perché oltre al sentimento degli italiani nei confronti del palazzo, vi è il Paese reale, lacerato dalle chiusure, angosciato dall’assenza di futuro. Una bomba sociale di cui avremo contezza soltanto nei prossimi mesi. Sul sorgere della rabbia, sull’esasperazione fomentata dal tempo delle chiusure, che scorre inesorabile come il sibilo di una clessidra, le sirene dell’illusione sovranista tentano di offrire protezione riversando nelle scintille di piazza i propri motivi, a cadenza retorica del più bieco vittimismo italico. All’alienazione di interi settori sociali, le risposte illiberali, in fondo, assolvono al loro compito storico di fondare, sul risentimento, la propria spinta autoritaria. Spetterà alle forze sociali, alle energie politiche e alla società civile neutralizzare ancora una volta il tentativo d’influenza di questi soggetti. Dalle risposte in campo, in un’epoca drammatica e surreale come quella l’attuale, si misurerà lo stato della nostra democrazia.