Un inappropriato e contraddittorio fiume di parole privo di direzione. In cui la logica latita al pari della responsabilità. Qualcuno l’ha sintetizzato come il miglior favore di sempre alla peggiore destra di sempre. Ma questa interpretazione è da inquadrare negli effetti, meno nelle cause. Tentare l’impresa ardua di trovare un senso alla mossa di Renzi richiede la capacità di andare oltre la sterile e consunta retorica propria all’ex premier.
Italia Viva si sfila dal Governo ritirando ministre e sottosegretario, assicura che si andrà alle urne soltanto alla fine naturale della legislatura, nel 2023, che mai e poi mai cercherà una sponda a destra. Conte è a caccia di responsabili ma senza i renziani il Governo giallorosso è a corto di numeri per sopravvivere. Poste queste premesse, qual è la strada tracciata dal leader di Iv? La risposta è che non è stata indicata. Che probabilmente non esiste.
Oltre ai soliti attacchi velenosi nei confronti del bersaglio di turno, nel suo discorso l’ex sindaco di Firenze tesse la trama di un gioco politico che ha radici unicamente nella sua storia personale, umiliata dalla perdita del potere e retrocessa nell’arte del ricatto rappresentativa di una piccola formazione politica decisiva per le sorti di una maggioranza. Quando spiegava che “ci vuole molto più coraggio a lasciare una poltrona che ad aggrapparsi alla tenace difesa dello status quo”, Renzi in realtà voleva dimostrare il contrario. L’uscita di scena di Italia Viva dal Governo non è soltanto reversibile ma si configura come un passaggio obbligato funzionale al bluff di un narcisista patologico. Se le ragioni di una crisi assurda, che giunge in un momento drammatico per il Paese, consistono nell’inadeguatezza di Giuseppe Conte, allora è ragionevole pensare che il senatore di Scandicci stia sferrando l’abituale colpo al capo, nell’impossibilità di incarnare egli stesso quella figura che probabilmente veste la mattina davanti allo specchio ripromettendosi fieramente di riconquistare il ruolo agognato scippato da un destino avverso.
E’ già accaduto che Renzi rovesciasse il tavolo per un tornaconto personale, assecondando la sete di potere a scapito del Paese reale. Prima con Berlusconi, costretto al patto del Nazareno, poi con Enrico Letta, passando per i dissidi con Gentiloni fino ad arrivare all’arcinemico Conte, bersaglio in gialloverde e in giallorosso. Il potere che logora chi non ce l’ha e che adesso, ancor di più dopo lo strappo con il Governo Conte, rappresenterà per lui un lontano ricordo.
Arroccato in un partito personalistico circoscritto alla recita della Leopolda, che vale secondo i sondaggi poco più del 2% dei consensi. Inviso alla stragrande maggioranza degli italiani, considerato una mina vagante dai suoi stessi estimatori dopo la sonora e decisiva sconfitta al Referendum del 2016, dopo aver condannato il Pd al suo minimo storico, dopo una serie innumerevole e imbarazzante di incoerenze finalizzate alla mera propaganda. Matteo Renzi da Rignano sull’Arno è riuscito addirittura a suscitare ostilità nei suoi, riducendo il “Giglio magico” a un manipolo di “Yes man” esilaranti e di ministri e sottosegretari che fanno discutere, ma non propriamente di politica. Le sue truppe sono ridotte all’osso, e se questa mossa gli frutterà un ruolo diverso all’interno di un nascituro (si spera) patto di legislatura o permetterà al suo partitino di guadagnare qualche poltrona ambita (lo spera), allora Renzi avrà ottenuto il massimo. Fino alle politiche del 2023, quando rischierà di cadere nel precipizio delle soglie di sbarramento.
In questi giorni si è consumato l’ultimo atto di affermazione di un capetto arrogante disposto a frignare fino a prendersi la scena. Il canto del cigno di un ego smisurato pronto a snaturare e a personalizzare tutto ciò che tocca. L’ultimo e solitario grido di un professionista della semplificazione (lui sì in un reality show permanente, governando a suon di tweet), costretto all’azzardo dalla sua triste marginalità, a costo di oltraggiare un Paese martoriato dal virus e dalle sue conseguenze. Un leader ormai sconfitto dalla storia e da se stesso.