Gli squilibri territoriali continuano a crescere e a minacciare l’agricoltura, a vantaggio di politiche urbanistiche che tendono a sacrificare suolo fertile. In più, gli effetti del cambiamento climatico si abbattono su un territorio reso sempre più fragile dalla cementificazione. Nell’anno pandemico 2020 la cementificazione è avanzata ad un ritmo di 2 metri quadrati al secondo, secondo quanto emerge dai dati Ispra.
L’avanzata del cemento non rallenta neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown: adesso ricopre quasi 60 chilometri quadrati, impermeabilizzando ormai il 7,11% del territorio nazionale. Sono così saliti a 7275 i comuni con parte del territorio in pericolo di dissesto idrogeologico, il 91,3% del totale con 7 milioni gli italiani che vivono in aree a rischio frane, alluvioni ed esondazioni di fiumi in una situazione di incertezza determinata dall’andamento meteorologico che condiziona la vita e il lavoro.
Si susseguono così le allerte meteo, un allarme diffuso e generalizzato, acuito dalla tropicalizzazione in atto. Soprattutto a ridosso e durante la bella stagione. Dall’inizio dell’estate in Europa si sono verificati il 45% di eventi estremi in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno tra nubifragi, alluvioni, trombe d’aria e grandinate. Una calamità che ha flagellato il vecchio continente dopo un mese di giugno che si classifica come il secondo più caldo mai registrato con una temperatura superiore di 1,5 gradi alla media storica sulla base dei dati Copernicus.
Le precipitazioni sempre più intense e frequenti con vere e proprie bombe d’acqua si abbattono su un territorio reso fragile dalla cementificazione e dall’abbandono anche in Italia dove più di nove comuni su dieci a rischio per frane o alluvioni. Per effetto delle coperture artificiali dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana che ora scorrono in superficie aumentando la pericolosità idraulica.
La Campania si conferma tra le regioni italiane con maggiore propensione alla cementificazione del suolo: sono oltre 211 gli ettari di campagne sottratti nel 2020 a beneficio di nuove costruzioni. Analizzando i singoli territori si registra il primato negativo della Citta metropolitana di Napoli, che consuma il 34,2% del suolo provinciale, mentre arriva a quasi il 63% quello della città capoluogo. Segue la provincia di Caserta con il 10,2%, mentre la città è al 24,8%. L’estesa provincia di Salerno consuma il 7,9% del territorio.
A questa situazione non è certamente estraneo il fatto che negli ultimi 25 anni ha fatto sparire oltre ¼ della terra coltivata (-28%) con la superficie agricola utilizzabile in Italia che si è ridotta ad appena 12,8 milioni di ettari, come sottolinea la Coldiretti. L’Italia non riesce a difendere il proprio patrimonio agricolo e la propria disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento sociale, culturale ed economico del ruolo dell’attività nelle campagne. In alcuni territori la sopravvivenza di colture preziose, protagoniste del patrimonio agroalimentare campano, rischiano di sparire.
Quest’anno la perdita maggiore si è registrata, spiega la Coldiretti, sul fronte dei cereali e degli ortaggi, seguita dai foraggi per l’alimentazione degli animali, dai frutteti, dai vigneti e dagli oliveti. Un problema grave in una situazione in cui il grado medio di autoapprovvigionamento dei prodotti agricoli in Italia, è sceso a circa il 75% con il Paese costretto ad importare ¼ degli alimenti di cui ha bisogno in un momento di grandi tensioni a causa dell’emergenza Covid.