Treofan e il fantasma della Whirlpool. I brandelli del tessuto industriale

L’incontro tenutosi ieri al ministero dello Sviluppo Economico tra i lavoratori Treofan e i vertici del dicastero, insieme alle sigle sindacali, non ha fornito indicazioni sul futuro dell’azienda battipagliese. I lavoratori, accompagnati come di consueto da una rappresentanza parlamentare del M5S, capitanata dalla deputata battipagliese Anna Bilotti, hanno denunciato le inadempienze della proprietà, il gruppo indiano Jindal, colpevole di non aver mantenuto le promesse. Al tavolo del MiSe la proprietà non si è presentata, concedendosi un supplemento di tempo per confrontarsi con l’advisor. Proprio l’advisor il 29 ottobre dovrà comunicare le eventuali offerte pervenute per l’acquisto dell’azienda. I lavoratori spingono per la reindustrializzazione dello stabilimento. “Noi le speranze non le abbiamo perse, lotteremo fino alla fine”, promettono. “Quello che è certo – afferma Anna Bilottiè che il filo diretto tra lavoratori e istituzioni non si è mai interrotto, per questo non faremo nessun passo indietro e continueremo ad impegnarci fino a quando questa vicenda non sarà risolta nel migliore dei modi, tutelando e offrendo garanzie ai lavoratori di Battipaglia e alle loro famiglie”.

Ma l’esito della vertenza Whirlpool, una delle principali 18 in Campania, ha gettato un’ombra sulle speranze dei lavoratori e sul futuro della Treofan a Battipaglia. La Whirlpool, a causa dello stallo del negoziato sulla riconversione dello stabilimento di Napoli, si è trovata costretta a procedere alla cessazione dell’attività produttiva, con decorrenza 1 novembre 2019. Oltre mille persone sono sull’orlo del definitivo licenziamento, con gravi ripercussioni sull’intero indotto.

Il caso Whirlpool rappresenta il più completo fallimento della politica, costretta all’impotenza e all’improvvisazione dell’ultimo minuto. Troppo tardi per cambiare le carte in tavola, per risolvere problemi strutturali. Il deplorevole comportamento delle multinazionali è certamente la causa primaria del logoramento del tessuto industriale ma quali forme di contrasto sono state adottate per limitarne la libertà d’azione? Chi si è opposto alla feroce volontà di profitto di aziende pronte a delocalizzare dopo aver goduto degli incentivi statali? E, soprattutto, come mai le istituzioni iniziano a battersi seriamente quando ormai non resta altro che constatare il decesso di realtà produttive sul territorio? Tra misure inutili e demagogiche (taglio dei parlamentari), alleanze, scissioni e ribaltoni di governo, la politica non ha fatto tesoro di una lezione storica: se non si occupa tenacemente delle paure, fondate, delle persone in carne ossa, del loro futuro, la gente si organizzerà attorno alla rabbia. Eppure la Lega quasi al 35% è più di un campanello d’allarme: è un dato inequivocabile.

Rivendicare forme di partecipazione dei lavoratori, il rilancio dell’industria, investimenti, sviluppo compatibile e tutela dell’occupazione, assume allora un’importanza vitale. Il governo giallorosso non sembra avere le idee più chiare del governo gialloverde: non c’è traccia di un piano industriale, nemmeno sugli investimenti concernenti l’innovazione tecnologica. Nel caso del M5S, l’abilità è nell’interpretare le istanze, meno nell’offrire soluzioni. Luigi Di Maio, in quattordici mesi, non è riuscito a sbloccare nemmeno un dossier industriale. Mentre sfilavano dinanzi a lui, in un clima greve, intriso di disperazione, i brandelli del tessuto industriale italiano.

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