I focolai del Nord: le testimonianze dalle Wuhan d’Italia

Ci si appresta a vivere un carnevale dalle sfumature thriller nelle cittadine di Lombardia e Veneto dichiarate focolaio del contagio da Coronavirus. A fare il paio con la psicosi delle ultime ore il proliferare di avamposti militari impegnati a circoscrivere gli ingressi e le uscite dai punti nevralgici in cui il virus ha fatto la propria comparsa. Aumenta col passare delle ore il numero dei contagiati, l’epidemia è in atto ed aumentano senza sosta gli articoli scritti da testate che, in barba al codice deontologico, si impuntano nel conteggiare il numero dei casi piuttosto che fronteggiare il palese allarmismo che si respira attenendosi ad una sana informazione. Intanto in Lombardia ed in Veneto si vivono scene da day after: le saracinesche si abbassano, le strade si svuotano, ogni sorta di evento, fra cui le quattro partite del massimo campionato di calcio, viene annullato. Ore di intenso lavoro per le istituzioni, decretata infatti la chiusura delle università di Veneto e Lombardia fino al 2 marzo in attesa di nuove disposizioni. Notevoli i disagi, soprattutto se circoscritti ad un week-end in cui la vocazione collettiva era quella di festeggiare il Carnevale affollando locali e discoteche che, per ovvi motivi, si preparano ad accogliere sempre meno persone.

Le sensazioni sono molteplici, la paura, accompagnata da tutte le sfumature della soggettività, prende il sopravvento ed impone la triste ascesa di un isolamento che si concretizza nel divaricarsi delle distanze fra amici e congiunti. Si vive di attese, si inizia a familiarizzare con l’idea di fare scorta di scatolame al supermercato mentre si cerca, con grande fatica, di centellinare le notizie, in modo da capire dove inizia il calcare la mano per accaparrarsi un “clic” facile e dove invece inizia il rischio effettivo di contagio.

Cinquantamila persone asserragliate in casa, stop a qualsiasi attività pubblica, blocco della circolazione. E’ il clima da coprifuoco respirato nell’epicentro dell’epidemia, il lodigiano prima Wuhan d’Italia. Una provincia snodo cruciale tra Lombardia ed Emilia-Romagna, dove i cittadini sono stati invitati a rimanere a casa per almeno una settimana. In questa zona il numero degli infettati aumenta di ora in ora e tutte le ipotesi funzionali a una ricostruzione del contagio riportano a luoghi affollati e a una diffusione indiscriminata del virus. Anche perché nelle piccole comunità si frequentano gli stessi posti e il rischio è assolutamente maggiore. Con una sola inquietante consapevolezza: il morbo può essere soltanto contenuto, nessuno può eliminarlo. Nei paesi deserti, ormai in uno stato di sospensione, le persone sono prigioniere dell’incubo. Chi abita fuori è stato rispedito a casa, fuori dalla zona rossa lodigiana. E’ il caso di Carmen Auricchio, napoletana che vive a Milano e lavora al centro per l’impiego di Lodi: “L’altro ieri mattina mentre svolgevamo le nostre normali attività al pubblico la Regione Lombardia ci ha comunicato la chiusura immediata. Vi sono colleghi di Codogno che al momento non sono infetti e che non hanno avuto contatti con gli infetti, sono chiusi in casa senza uscire. Noi di Milano visto che avevano avuto contatti con queste persone di Codogno siamo stati rimandati a casa e hanno preso le nostre generalità”. Anche la metropoli si riscopre fragile, assediata dai focolai e dalla paura. “Sono due giorno che non usciamo di casa – prosegue Carmen – anche a Milano tutte le persone che conosco restano a casa senza uscire per paura del contagio. Io abito nei pressi del San Raffaele e in queste ore si sentono più ambulanze del solito”. Con il passare delle ore, l’incremento dei contagiati assume un effetto beffardo dopo settimane trascorse a ironizzare sulla psicosi. Che, immotivatamente, aveva generato allarme traducendosi nella solita lagna all’italiana, tra sensazionalismo e caccia al capro espiatorio di turno. Ma ora che il pericolo è reale ci si interroga sulla scarsa prevenzione: “Credo che ci sia stata una sottovalutazione del problema e che non siano state attivate alcune misure di sicurezza, se non negli aeroporti dove misuravano la temperatura. Purtroppo la paura è difficile da esorcizzare in quanto Milano è una città molto popolata dove gli spostamenti in altre province e regioni sono all’ordine del giorno quindi è molto probabile che ci saranno altri contagi. Al momento esorcizziamo la paura basandoci sui dati che evidenziano come la mortalità sia molto bassa e il virus non così invasivo. Per questo weekend restiamo a casa e abbiamo tutto il necessario per vivere, poi sicuramente da lunedì dovremmo uscire per fare spesa, visite ed appuntamenti già programmati, sempre che non ci siano nuove indicazioni. Utilizzeremo tutte le misure di precauzione che consigliano, mascherine comprese, per il resto speriamo che il contagio sia controllato e che vengano attivate misure più stringenti.”

A Vo’ Euganeo, sul fronte veneto del virus, l’ordinanza del Comune e le misure adottate in seguito al Consiglio dei Ministri svoltosi ieri, decretano la sospensione immediata di qualsiasi attività o manifestazione pubblica. Di qualsiasi natura, comprese le cerimonie religiose (nel corso delle quali già da qualche giorno era vietato scambiarsi un segno di pace). La provincia italiana si ferma con effetto immediato e trattiene il fiato. Mentre i resoconti delle edizioni straordinarie in tv fomentano l’allarme, spargono brividi, alimentano il sospetto che si tratti soltanto dell’inizio.

(A cura di Alfredo Mercurio e Stefano Ferrara. Ha collaborato Cecilia Alfier).

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